L’essere umano è alla continua ricerca della stabilità.
[dropcap]S[/dropcap]iamo essere instabili, viviamo continuamente in bilico, siamo costantemente soggetti alle fluttuazioni dell’ambiente e della società.
Eppure, in questo delicato gioco d’incostanza, cerchiamo le abitudini. Per quanto i grandi maestri di vita ci insegnino di vivere alla giornata, evitando di assuefarci alle condizioni di ripetizione, è ciò che puntualmente ed erroneamente facciamo.
Ci rendiamo poi conto che questa condizione, ripetuta allo stremo, tende ad annichilirci ancora una volta. Già, la chiamiamo monotonìa; ci fa paura, vorremmo evitarla, una volta raggiunta vorremmo scappare via e nella maggior parte dei casi cerchiamo di fuggire via, andando incontro alla nostalgia che magicamente ci fa rivivere incoerentemente con piacere quei momenti fino a poco tempo prima completamente grigi e vuoti.
Non c’è nulla da fare, puntiamo alla stabilità, ma in realtà cerchiamo l’instabilità. Entriamo quotidianamente e senza rendercene conto in loop di ridondanza e non siamo in grado di riuscire ad essere realmente felici di ciò che abbiamo. Nella bilancia del nostro animo, la (in)stabilità non permetterà mai all’ago di essere perfettamente al centro, ma di spostarsi inevitabilmente verso destra o verso sinistra con movimenti aritmici e continui, microvibrazioni o grosse oscillazioni, tutto dipendente dai pesi posizionati sui piatti.
L’essere umano non si rende realmente conto di ciò che ha.
Viviamo continuamente in una condizione onirica. La dimensione razionale è quella in cui si svolgono continuamente le nostre azioni, ma quella irrazionale è il carburante che ci porta in uno stato catatonico d’attesa. Aspettiamo continuamente e volontariamente qualcosa. A volte è un’attesa benefica, altre un’attesa angosciante; le condizioni di sospensione sono quelle che occupano per la maggior parte le pause di riflessione delle nostre giornate. Ma cosa aspettiamo realmente?
Siamo dei bravissimi registi. Riusciamo a creare dei mondi inesistenti, ma talmente verosimili che spesso confondiamo la vita reale con quella onirica per qualche secondo.
Sì a volte questo limbo è snervante, ma il realizzarsi di un evento atteso porta una felicità effimera, che nel giro di tempo (direttamente proporzionale all’attesa vissuta) diventerà abitudine, routine e infine monotonìa, costringendoci a spostare l’attenzione su un’altra faccia dell’enorme poliedro vitale per ricominciare così questo fluire.
Non siamo in grado di renderci effettivamente conto dei nostri traguardi e aspiriamo sempre al meglio che, si spera, sia raggiungibile.
L’ uomo stabile è un uomo felice.
L’ uomo instabile è un uomo che vive alla ricerca della felicità.
Tra stabile e instabile c’è una sottile differenza linguistica rappresentata da un suffisso.
Le due lettere sono custodi di una ricerca immensa che ci fa vivere o sopravvivere.